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PROCEDURE CONCORSUALI

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L’interrogativo circa gli effetti che il forzato “lockdown” produrrà sul comparto economico-produttivo del Paese lascia spazio ad un’inquietante risposta: le misure adottate per il contenimento del Coronavirus porteranno le imprese italiane ad una perdita di fatturato tra i 270 e i 650 miliardi di euro nel biennio a venire, generando una crisi di liquidità che comporterà un incremento dei possibili default imprenditoriali in una forbice che oscilla tra il 10% ed un massimo del 30%.

Alla luce del triste scenario che si profila, il Legislatore ha deciso di intervenire optando per una sospensione delle regole concorsuali del futuro e la non applicazione di quelle del presente, nel tentativo di consentire al sistema produttivo di superare (quantomeno) la fase più acuta dell’emergenza economica.

In altre parole, con il D.L. 8 aprile 2020, n. 23 è stata rinviata al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del nuovo “Codice della Crisi e dell’Insolvenza” (inizialmente prevista per il 15 agosto 2020) e, contestualmente, disposto il “blocco” (di circa tre mesi) dei procedimenti per le dichiarazioni di fallimento, con la realizzazione di un doppio binario rispetto a concordati e accordi di ristrutturazione dei debiti.

Entrando nel vivo della legislazione d’emergenza, il Governo ha previsto nel c.d. “Decreto liquidità” la sostituzione dell’art. 389 del Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza con il seguente: “Il presente decreto entra in vigore il 1° settembre 2021 […]” (art. 5 D.L. n. 23/2020), accogliendo pertanto le istanze (sollevate da più parti) di proroga dell’entrata in vigore della nuova normativa, ancora bisognosa di approfondita revisione e rimodulazione sotto il profilo sostanziale e processuale.

Stante la seguitante vigenza della Legge Fallimentare, dunque, per mezzo dell’art. 9 del D.L. n. 23/2020 l’Esecutivo ha dettato, altresì, disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione, con preciso riferimento alle procedure promosse in epoca anteriore alla data del 23 febbraio 2020, al dichiarato fine di “salvaguardare quelle […] aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica”.

Innanzitutto, è stato prorogato di sei mesi il termine di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione già omologati e aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021.

In secondo luogo, nei procedimenti per l’omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020, è stata concessa al debitore la possibilità di chiedere – sino all’udienza fissata per l’omologa – un termine non superiore a novanta giorni per la presentazione di un nuovo piano o di una nuova proposta di concordato, ferma restando l’inammissibilità della relativa istanza laddove l’adunanza dei creditori si sia già tenuta e non siano state raggiunte le maggioranze per l’approvazione.

Una chiara norma di favore dettata per il debitore, che garantisce dunque la possibilità di ridefinire la struttura dei piani compromessi dalla crisi conseguente al “lockdown” generalizzato del Paese.

Inoltre, sempre con riferimento ai procedimenti pendenti alla data del 23 febbraio 2020, per il debitore che intenda modificare esclusivamente i termini di adempimento del concordato o dell’accordo è stata prevista la possibilità di presentare – sino alla udienza di omologazione – una memoria contenente l’indicazione dei nuovi termini per l’adempimento del piano approvato, a fronte del deposito di documentazione a comprova della necessità della richiesta (che, se accolta, non potrà vedere un differimento superiore a sei mesi rispetto alle scadenze originarie).

Infine, in caso di concordato preventivo con riserva (o “in bianco”), per il debitore cui sia stato concesso termine per la predisposizione del piano ed abbia già ottenuto una proroga del medesimo da parte del Tribunale, è stata introdotta la possibilità di presentare un’istanza per la concessione di un’ulteriore proroga sino a novanta giorni, anche nei casi in cui sia già stata depositata richiesta di fallimento. Previsione che troverà applicazione anche all’ipotesi contemplata dall’art. 182 bis, comma 7, della Legge Fallimentare.

Naturalmente, la predetta istanza dovrà indicare gli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga, con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica Covid-19.

Come si è detto, inoltre, il Governo è intervenuto anche in tema di procedure per la dichiarazione di fallimento, dettando una disciplina emergenziale ritenuta indispensabile, “da un lato, per evitare di sottoporre il ceto imprenditoriale alla pressione crescente delle istanze di fallimento di terzi e per sottrarre gli stessi imprenditori alla drammatica scelta di presentare istanza di fallimento in proprio in un quadro in cui lo stato di insolvenza può derivare da fattori esogeni e straordinari, con il correlato pericolo di dispersione del patrimonio produttivo, senza alcun correlato vantaggio per i creditori dato che la liquidazione dei beni avverrebbe in un mercato fortemente perturbato; dall’altro per bloccare un altrimenti crescente flusso di istanze in una situazione in cui gli uffici giudiziari si trovano in fortissime difficoltà di funzionamento”.

Pertanto, all’art. 10 del “Decreto liquidità” l’Esecutivo ha disposto l’improcedibilità di tutti i ricorsi – depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 – per la dichiarazione di fallimento (art. 15 L. Fall.), per l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza anteriore alla liquidazione coatta amministrativa (art. 195 L. Fall.) e per l’accertamento dell’insolvenza delle grandi imprese in crisi soggette alla disciplina dell’amministrazione straordinaria (art. 3 D.Lgs. n. 270/99).

La citata norma, tuttavia, non troverà applicazione (“procedendo” la relativa istruttoria) allorché l’iniziativa di fallimento provenga dal Pubblico Ministero e nella stessa sia fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all’art. 15, comma 8, L. Fall., dovendo intendersi tale unica eccezione all’improcedibilità necessaria al fine di non “avvantaggiare le imprese che stanno potenzialmente mettendo in atto condotte dissipative di rilevanza anche penale con nocumento dei creditori”.

Infine, il terzo comma dell'art. 10 D.L. n. 23/2020 disciplina il caso in cui alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 faccia seguito la dichiarazione di fallimento: al ricorrere di tale ipotesi, detto periodo non verrà “computato nei termini di cui agli articoli 10 e 69 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”, ovvero né in sede di computo del termine per la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore - sia individuale che collettivo - cancellato dal registro delle imprese, né in sede di computo dei termini per la proponibilità delle azioni revocatorie, allo scopo di evitare che detto periodo possa ripercuotersi negativamente sulle forme di tutela della par condicio creditorum.

Com’è agile notare, dunque, il Legislatore è intervenuto con un mero e temporaneo “congelamento” delle dichiarazioni di fallimento, che ben presto lascerà il passo ad un vero e proprio “disgelo”, con la presentazione a cascata di un nuovo e copioso flusso di ricorsi una volta cessato il periodo protettivo al 30 giugno 2020.

In mancanza di disposizioni innovative e con l’avvento del periodo estivo, il “vaso di pandora” del default imprenditoriale ed economico verrà brutalmente aperto, stante l’insufficienza delle misure di sostengo messe in campo con il “Decreto liquidità” alla risoluzione di situazioni di crisi o insolvenza determinate o aggravate dal “lockdown”.

Non resta che l’auspicio di intervento “illuminato” del Legislatore, in grado di risollevare le incerte sorti di un sistema economico-produttivo che si appresta ad affrontare la crisi più difficile dal secondo dopoguerra.

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